… mi limito a qualche riflessione sul tentativo più tragico, più disperato che l’uomo abbia mai compiuto di vivere senza il perdono di Dio: la negazione del male morale. È un tentativo che è andato di pari passo con la negazione [dell’esistenza] di Dio. Intendo dire di un Dio coinvolto nel destino della persona umana.
Ciò non è avvenuto per caso. La negazione di Dio non ha coinciso casualmente con la negazione del male morale. I due, esistenza del male morale nell’uomo ed esistenza di Dio, stanno o cadono insieme. Nessuno come Dostoevskij ci ha fatto riflettere su questo,
soprattutto in due grandiosi romanzi, Delitto e castigo e I fratelli Karamazov. «Se Dio non esiste tutto è permesso»: il frutto della negazione di Dio per il vero ateo è la liberazione da ogni legge morale. Ma cosa accade in uomini come Raskolnikov o come
Ivan Karamazov? Vengono distrutti, alla fine, dal delitto che hanno compiuto.
Elimina Dio dalla vita e la voce della coscienza si farà sempre meno imperiosa. Non sono certo la società e lo Stato ad impegnare la coscienza dell’uomo, a «legare» la sua libertà.
È il cuore del dramma dell’uomo di oggi. Ma c’è qualcosa nell’uomo che ha peccato che gli impedisce alla fine di accontentarsi dei vari surrogati al perdono di Dio. È il trovarsi con se stesso, con un se stesso divorato dalla potenza distruttiva del rimorso. Il castigo che segue al peccato – come hanno ben visto Manzoni e Dostoevskij – «precede la condanna di ogni tribunale ed è più terribile di ogni condanna. È questo “castigo” la prova di Dio. Il peccatore può non riconoscere Dio nel suo castigo, ma se l’uomo non può impunemente offendere la legge, senza che il delitto ricada su di lui, la distruzione psicologica che segue al delitto
afferma ugualmente la “divinità della legge”»
(Divo Barsotti, Dostoevskij. La passione per Cristo, ed. Messaggero di Padova).
© http://www.tempi.it/ – 19 novembre 2010
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